associazione mc giaime

Negli anni 1987/88 dopo gli entusiasmi per il calcio espressi in visite e foto agli stadi italiani ed europei, e in disegni festosi di curve, tifosi, calciatori e gadgets, si avvicinò ai graffiti.

Passava gran parte della notte a cercare, con gli amici, spazi per i graffiti, soprattutto vetture della metropolitana, contendendo il tempo alla scuola. Conosce Emiliano Cataldo, Lorenzo “Crazy”, Emanuele De Donno, Giorgio Cimini, Stefano Monfeli, Enrico Deb. La scuola è stato un luogo un po’ angusto e asettico per il carattere e la voglia di libertà di Giaime.
Dopo le elementari e medie ha frequentato il liceo linguistico Nazareno di Roma.

Seguiva con interesse le lezioni di inglese, italiano, matematica e filosofia, il resto lo annoiava. Evadeva disegnando sui libri, diari, quaderni, cartelle, zaini, pantaloni, giacche sue e dei compagni di scuola. Non sopportava la storia, la cronaca dei fatti, il contesto ambientale. “Mamma, dimmi solo cosa pensava quel personaggio, quali erano le sue idee”.
Voleva arrivare subito all’essenza delle cose.  Ma con rigore: mai pregiudizi, mai riserve mentali, mai considerazioni affrettate. Lo studio, l’analisi, l’approfondimento erano fondamentali per affrontare qualsiasi argomento. Così per la lingua italiana il dizionario Devoto-oli era il suo compagno fedele così per la metrica, la musica, le connessioni, la logica.
A volte insisteva con gli amici sono i loro racconti su domande, supposizioni e possibili variazioni sul tracciato di un segno. Non tollerava il pressappochismo, la superficialità, la sbruffoneria.

Tollerava l’ignoranza, anzi ne sorrideva. L’amicizia era importante, ma non ne era schiavo. Gli incontri con gli amici a Piazzale Fiaminio, o presso studi di registrazione di qualche rapper più organizzato come Tommaso Zanello “Piotta”, Sebi, Massimo Colonna “Crash Kid”, Ivan “Spike”, Claudio Contini, Duke, Massimo Cina, Massimo Piluzzi di “RomeZoo”, Claudia Spina o negozi musicali come “Disfunzioni musicali” o “Goody Music” erano una palestra di scambi d’informazioni, di progetti. Giaime portava il suo bagaglio di conoscenza dei rap americano, dei dischi e delle vite dei rappers del Bronx.

Cantava in inglese con buoni risultati e applausi dei fans. L’inglese era la sua lingua preferita accanto all’itallano. L’ha studiata da sempre privatamente e a scuola e poi praticata nei suoi viaggi in Europa e in America. I suoi scritti sono alternativamente in italiano e in inglese. Parlava l’inglese come un cittadino britannico, ed era molto orgoglioso quando veniva scambiato per tale. Non sopportava essere o fare il turista. Non consultava mai per strada una cartina della città e se si trovava con gli amici, lo proibiva anche a loro.

Capiva e parlava lo slang americano, dei neri di New York, seguendo films o videocassette in lingua originale o leggendo le riviste americane di musica Hip Hop: Vibe, Blues & Soul, Rape pages, The Source. Lo divertivano i costumi dei rappers più famosi, le loro catene d’oro, anelli, copricapi, le giacche con la pelliccia. Insisteva spesso a guardarli insieme.

“Mamma, questo sembra un “pappa”. Giaime amava vivere le grandi città, i quartieri commerciali, i grattacieli, le strade piene di gente, mille negozi, luci, bar. Voleva la solitudine per concentrarsi, riflettere, scrivere, e la musica della radio in sottofondo.
Si arrabbiava se veniva disturbato. Percorreva a piedi o in autobus le periferie urbane alla ricerca di qualche locale letto da qualche parte o consigliato da amici.

A Parigi nell’agosto del 1992 di buon mattino abbiamo attraversato tutta la città col metrò, di cui Giaime aveva anticipatamente studiato i percorsi e poi ponti di sopraelevate, quartieri di immigrati “Mamma stai tranquilla, è tutto sotto controllo” ed in verità lo sentivo come il mio paladino alto, agile e forte per arrivare a trovare un negozietto di moda e musica rap.
Era felice: s’intrattenne 3/4 ore. lo lo aspettavo in una latteria accanto, ogni tanto mi affacciavo timidamente.

Ma Giaime stava su un altro pianeta scordandosi di me, di mangiare e di Parigi. Anche a Roma, durante le nostre passeggiate, mi faceva notare con emozione e orgoglio i segni, disegni, tag che apparivano alle entrate delle stazioni della metropolitana, sui muri delle periferie (Magliana, Labaro, Ostiense), i ponti sul Tevere, cavalcavia. o mi indicava, prendendo la metropolitana, le vetture disegnate da lui o dagli amici. 

Spesso dopo la scuola e appena mangiato un boccone mi pregava di accompagnarlo per fargli da palo sotto il ponte Matteotti perché graffitasse con più tranquillità.
Ora il disegno è stato cancellato con pennellate di calce. E spesso lo accompagnava ai cavalcavia della Stazione Tiburtina mia madre la Ninnina tanto amata felice di seguire le avventure di questo nipote così intraprendente.
Perché Giaime aveva realmente del coraggio: ad affermare le sue idee, a seguire le sue inclinazioni, a manifestare un suo stile di vita, a non aver paura degli sconosciuti, a uscir solo la notte, a non aver soggezione di chicchessia.

Ai miei continui timori quando andava per es. a Brixton, un quartiere di Londra abitato esclusivamente da neri, rispondeva “Mamma, cosa vuoi che mi facciano, lo vedono subito, io sono come uno di loro”. E poi mi svelava un segreto “La mia arma è una biglia di vetro, mi sono allenato a lanciarla in un occhio dell’avversario”.

Giaime si muoveva senza fastidi e senza ingombri. Non guidava la macchina o motorino, spesso lo trasportavano gli amici e godeva della comodità. Le passeggiate lungo le tranquille e verdi strade di Vancouver adagiato sulla macchina di Emanuele ascoltando musica nell’estate dei 1997 sono state le ultime dolci nostalgie di Giaime. Ammirava chi aveva coraggio, abilità, chi sfidava. Gli piacevano i combattimenti di Kung Fu, di Wrestling che seguiva in televisione, e sul ring dei Palasport a Roma nel 1990.

A Zurigo nel 1993 fu preso poiché stava con un gruppo di ragazzi che graffitavano da un poliziotto che lo inseguì per almeno 100 metri e passò 2 giorni in prigione. Riferendomi poi l’accaduto enfatizzava solo l’abilità del poliziotto malgrado il proprio smacco. “Mamma, io correvo come il vento, ma lui è stato più veloce! Grande prova!”.

Al liceo Nazareno, al centro di Roma, andava vestito da rapper con una ricerca meticolosa nei negozi di scarpe e T-shirt con i capelli dritti squadrati e con fenditure sulla nuca. Un liceale vedendolo gli disse “Ma sembri un nero!” “Io voglio essere un nero” rispose deciso e serafico. La coerenza nel portare avanti una sua idea e nel perseguire i suoi principi era per Giaime un elemento di serietà e maturità. Spesso ne discuteva con gli amici, ma su questo era inflessibile. “Incompatibile … con le cose commerciali, con i compromessi, gli stereotipi, le convenzioni, le classfficazioni”.

La sua camera era il suo pensatoio: la scrivania, il pavimento stracolmi di fogli scritti, disegnati, abbandonati; decine di matite lunghe e affilatissime e allineate sul tavolo, accanto ai mucchietti residui del lavoro dei vari temperamatite; preferiva scrivere con la matita, una scrittura minutissima alternata, sul foglio, a frecce, schemi, parentesi; allineati e divisi con religiosa cura i suoi preziosi dischi di rap americani, le copertine adorate in vista, posters con i mitici rappers alcuni dei quali finiti tragicamente. Studiava molto.

Mi chiedeva spesso spiegazioni, ma non ero più in grado di offrirgliene e balbettavo e rifiutavo riconoscendo la mia inadeguatezza. Ma poi ridevamo insieme ritrovando un po’ di parità davanti ad una tazza di thè con crostini al salmone, toast e pizzette che lui amava.

Amava essere servito e coccolato, lui ci scherzava perché era negato per le cose domestiche non sapeva tagliare neanche un panino o mettere sul fuoco un pentolino senza fare qualche disastro. Quando era invitato a cena, organizzata a casa di qualche amico, mi raccontava che aveva mangiato benissimo e che lui non aveva aiutato per niente “Mamma io ho offerto la mia collaborazione ma loro sapevano fare così bene”. La sua buona fede spiazzava e inteneriva gli amici. Non ci facevano caso. D’altronde apprezzavano Giaime per la sua intelligenza, giocosità e imprevedibilità. E Giaime ci teneva ad essere considerato tale, un maitre à penser più che un leader. In seguito ne era sicuro ci sarebbe stata la fama “Mamma vedrai che con la prossima canzone rap sarò famoso”.

La malattia, un rabdomiosarcoma terribile e galoppante gli ha devastato il corpo a cui dedicava cure e attenzioni, minandone l’agilità, la forza e l’uso “Mamma, vedi come sono ridotto, a che serve vivere se non potrò più correre?”.

La dignità, che era un tratto caratteristico della sua personalità, è stata al suo fianco in questo percorso doloroso e soprattutto nella consapevolezza della fine che arrivava. Non parlava mai della sua malattia, diceva che stava bene come se nulla fosse. Anche gli amici più vicini non sapevano della gravità del suo cancro. Una mattina al centro dopo aver incontrato un suo compagno di scuola e scambiatosi affettuosità e ricordi mi disse “Lui non sa…” con la commossa lucidità che non ci sarebbe stato un altro incontro. il disegno, la filosofia Platone, Spinoza, Pascal e soprattutto la musica hanno accompagnato il suo tempo, il suo ultimo tempo, la sua stagione brevissima.

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Il mondo di Giaime... Writing, Rap, Hip Hop

Dal DVD McGiaime "Il Film"